sabato 29 marzo 2008
Ritorna se stessa
Grazie al FUAN e ai suoi insostituibili militanti.
(sotto, alcuni video pre lavori)
http://it.youtube.com/watch?v=0f6i4uR1JZw (notturno)
http://it.youtube.com/watch?v=2y62mBxBu2M&feature=related (notturno)
http://it.youtube.com/watch?v=o_JmXW5GP3M&feature=related (diurno)
http://it.youtube.com/watch?v=5Der34Tdy78&feature=related (diurno)
http://it.youtube.com/watch?v=aKqZXv4lc_g (diurno)
giovedì 27 marzo 2008
UNIVERSITA' : DONZELLI (AN-PDL) "RETTORE HA PERSO OCCASIONE PER CHIARIRE DUBBI"
mercoledì 26 marzo 2008
FORTEZZA: DONZELLI E STELLA "SCADUTO IL PROTOCOLLO D'INTESA PER IL PASSAGGIO ALLA CITTA' "
RAVE PARTY DEL 25 APRLIE "IL PERICOLO RESTA, NON ATTENDIBILE CHI SI AUTOPROCLAMA PATRON"
martedì 25 marzo 2008
Minacce a Matteoli: Donzelli, "Azione Universitaria abbraccia Altero"
"Gli studenti di Azione Universitaria abbracciano il Sen. Altero Matteoli, solidarietà e affetto per la minaccia subita" Dichiara Giovanni Donzelli, presidente nazionale di Azione Universitaria, movimento studentesco di riferimento di AN-PDL.
"Matteoli non si farà intimorire, ha fatto politica nella rossa Toscana per il MSI quando le pallottole volavano e non erano chiuse nelle buste, quando nessuno pensava certamente di poter andare al Governo della Nazione. Un uomo temprato in quegli anni, non si lascerà intimorire e continuerà ad essere guida ed esempio per il mondo della destra che si appresta ad affrontare il nuovo percorso del Popolo delle Libertà" Conclude Donzelli
Per info: Giovanni Donzelli 3398620341
RAVE PARTY: "DOPO MILANO, IMPEDIRE IL RAVE A FIRENZE PER FINE APRILE"
RAVE PARTY: DONZELLI (AN-PDL): "Dopo la tragedia di Milano, è necessario impedire il Rave a Firenze per fine aprile"
"Non deve essere necessraio veder morire un altro ragazzo per impedire l'annuale Rave a Firenze di fine aprile" Dichiara Giovanni Donzelli a commento di una propria mozione presentata oggi in comune a Firenze.
"Ormai dal 2003 tutti gli anni a Firenze, con la scusa dell'anniversario della festività della Resistenza, sigle anarco-estremiste organizzano nel cuore di Firenze un Rave Party, identico a quello dove è morto un ragazzo di diciannove anni a Milano, dedicato all'antiproibizionismo e allo sballo libero. Per anni l'evento illegale si è svolto nel Parco delle Cascine, lo scorso anno nell'area di Castello. Tutti gli anni l'amministrazione comunale non ha mai cercato di impedire l'evento, al massimo, grazie alle sforzo delle forze dell'ordine, si è cercato di limitarne i danni." Denuncia Donzelli "Quest'anno, visto anche quanto accaduto a Milano, ho presentato una mozione in tempo per impegnare il Sindaco ad attivarsi per impedire che si svolga intorno al 25 aprile un Rave a Firenze. Sarebbe assurdo che le istituzioni fiorentine tollerassero ancora un simile evento. Non è più possibile dire che non si è a conoscenza dei rischi di simili eventi. Non possiamo richiare la morte di altri ragazzi anche nella nostra città per comprendere l'importanza di far rispettare la legge. In questo caso è possibile prevenire, evitando l'evento."
"Non vorrei che una certa continuità tra forze politiche e i centri sociali che hanno promosso in passato il Rave di Firenze avesse come cosenguenza una eccessiva leggerezza dell'amministrazione nell'affrontare il problema, spero che la mia mozione venga approvata unanimemente da tutto il conisglio comunale" Conlcude Giovanni Donzelli.
Per INFO: Giovanni Donzelli 3398620341
A Seguire la mozione:
Tipologia: mozione
Soggetto proponente: Giovanni Donzelli
Oggetto: per impegnare l'Amministrazione affinché non permetta che si svolga a Firenze il Rave parti il 25 aprile
VISTO quanto successo al rave party che, si è svolgo a Milano, dove un ragazzo di 19 anni è morto per un mix di droga e alcol;
PRESO ATTO che queste iniziative sono per loro stessa natura senza alcun tipo di controllo nè limite, dove tutto è permesso.,
Ad attivarsi in tutte le sedi competenti affinchè non si verifichi anche quest'anno il Rave party di fine aprile a Firenze.
giovedì 20 marzo 2008
MAFIA: GEORGOFILI, DONZELLI E ALESSANDRI (AN) "SALVARE DIGNITA' DELLA PIANTA IN RICORDO"
lunedì 17 marzo 2008
TIBET: A FIRENZE IN CONSIGLIO COMUNALE PER PROVOCAZIONE SI INNEGGIA AL COMUNISMO
La Giustizia ingiusta. Il caso Brasillach
Grazie Francesca! A voi buona lettura.
Jacques Isorni, Il processo Brasillach. Traduzione di Franco G. Freda. Prefazione di Maurice Bardéche. Edizioni di Ar, pp. 144, euro 15,00
Linea, 14 marzo 2008
Luca Leonello Rimbotti
La vantata “superiorità morale” della liberaldemocrazia sul Fascismo è un pregiudizio che va in pezzi non appena si esamini il comportamento dei vincitori del 1945. Lungi dal rappresentare l’ideologia della tolleranza e del rispetto per le idee altrui, il cartello antifascista non è stato sovente che scatenamento dell’odio e della vendetta, sotto mantello moralistico. Il caso di Robert Brasillach è sintomatico per comprendere che questa attitudine non fu legata a un particolare momento storico, ma era ed è strutturale ai nemici giurati del “male assoluto”. Vendicativi e impietosi nel 1945, lo sono ancora oggi. Allora come oggi, repressori della libertà d’opinione politica, non appena questa osi alzare i toni e non torni comoda al potere.
Brasillach venne messo a morte per aver scritto articoli di giornale favorevoli alla collaborazione con la Germania. Condannato per il suo pensiero e non per le sue azioni, secondo le logiche di un giacobinismo liberale che ancora oggi gode ottima salute. Venne fucilato per aver dato sostegno alla politica ufficiale del governo legittimo, l’unico che allora avesse la Francia, quello del generale Pétain a Vichy. Poiché De Gaulle, rifugiatosi in Inghilterra e di lì datosi a organizzare la resistenza contro i tedeschi, non ebbe mai dalla sua parte né la legittimità né la legalità. E neppure la forza, per la quale dovette attendere le iniziative di altri governi. Nel 1940-44, De Gaulle rappresentava un fuoriuscitismo privo di base, illegittimo e illegale. Un potere di per sé impotente, che poté presentarsi con prospettive di riuscita unicamente grazie alle armi straniere. Come tutti all’epoca sapevano e anche oggi sanno, l’Assemblea Nazionale francese riunita il 10 luglio 1940 – e presieduta da Jules Jeanneney, che come niente fosse cinque anni più tardi diventò ministro gaullista - investì a maggioranza assoluta il Capo dello Stato, maresciallo Pétain, di tutti i poteri costituzionalmente legittimi. E Pétain, in un famoso discorso dell’ottobre seguente, ingiunse ai francesi di seguirlo «sulla strada della collaborazione» con i tedeschi, che occupavano metà del Paese. Era quello lo “spirito di Montoire”, dalla località in cui Hitler e Pétain si incontrarono nel 1940 e dalla quale era spirata quella ventata di ripresa morale che portò la maggioranza dei francesi, nel momento della sconfitta militare, a stringersi attorno al loro vecchio Capo di Stato. Ma Brasillach fu accusato egualmente di tradimento. Anche se non poteva esistere in quel momento in Francia altra politica legittima, se non quella espressa dal governo di Vichy.
Questi, tra parentesi, sono gli stessi argomenti utilizzati da quanti – e sono parecchi – ancora oggi perdurano nel dichiarare la Repubblica Sociale Italiana uno Stato illegittimo, conferendo al solo Regno del Sud il sigillo di continuità legittima con gli ordinamenti statali italiani. Allora gli storici antifascisti, così affezionati al legalismo formale, bisognerà che si decidano. O De Gaulle aveva i titoli legittimi per auto-dichiararsi Capo dello Stato non appena mise piede in Francia dietro l’esercito americano: e in questo caso anche Mussolini li ebbe. Oppure fu, come si ìmputa al Mussolini della RSI, il capo di uno Stato solo di fatto, eversivo e giunto al potere per via armata e grazie a una potenza alleata, contro i poteri sovrani preesistenti. In ogni caso, non c’è né logica né giustizia nel concedere a De Gaulle quella patente di legittimità che si toglie a Mussolini, in presenza di due situazioni perfettamente equiparabili. E unicamente diverse nel fatto occasionale, e poco democraticamente decisivo, che uno ha vinto e l’altro ha perso. A questo, noi possiamo aggiungere l’interessante parallelo che mentre a De Gaulle, per aver parlato alla radio di un Paese straniero contro il proprio governo legittimo, vengono dai suoi biografi attribuiti meriti di esemplare idealismo, per la medesima cosa Ezra Pound, ad esempio, venne condannato, infamato e rinchiuso in manicomio.
Addirittura, a proposito del caso francese, si può ricordare che il governo di Pétain venne subito riconosciuto sia dagli Stati Uniti che dall’Unione Sovietica, che accreditarono a Vichy i loro rispettivi ambasciatori. Per dirne una, l’ambasciatore sovietico a Vichy con Pétain, rimase ambasciatore sovietico anche a Parigi con De Gaulle. E, per dirne un’altra, il giudice Mornet, pubblico ministero al processo Laval, era stato, nella magistratura vichysta, attivo presidente della commissione di denaturalizzazione degli ebrei francesi. Per dirne un’altra ancora, Marcel Reboul, procuratore di Stato e commissario del governo provvisorio che chiese e ottenne la condanna a morte di Brasillach, fino a poco tempo prima era stato solerte esecutore della repressione giudiziaria del governo Pétain nei confronti del Maquis, la “resistenza” anti-tedesca. O infine, tra i mille casi di comportamento eticamente degradante dell’antifascismo, si può ricordare quello del generale de Lattre de Tassigny, di stanza nelle colonie francesi: risoluto repressore di quelli che chiamò “traditori gaullisti”, quando questi tentarono in Siria nel 1941 un’insurrezione contro Vichy, lo ritroviamo nel 1944 braccio destro di De Gaulle sotto bandiera americana…Questi imbrogli antifascisti a noi italiani fanno immediatamente venire in mente qualcosa, e con un vivo senso di nausea. Ad esempio, quell’oscena bassura morale che spinse un magistrato italiano, attivo durante la RSI, ad essere lo stesso che, a guerra appena terminata, non ebbe remore nel comminare le più severe condanne ai fascisti che gli capitarono tra le mani. Fu questo innominabile, poi diventato intrigante presidente di non sappiamo più quale repubblica, a infliggere – con squisito senso di cristiana pietà - la condanna a morte ad Enrico Vezzalini, federale fascista di Novara tra i più moderati.
Ma l’omologo francese di quella bella figura di giudice italiano, a questo tipo di comportamento volle aggiungere anche il sermone. Se leggiamo il testo della requisitoria di Reboul – che compare nel libro Il processo Brasillach, scritto dall’avvocato difensore dello scrittore, Jacques Isorni, e da poco ripubblicato dalle Edizioni di Ar -, c’è di che restare di stucco. Epicentro dell’accusa non era tanto la collaborazione di Brasillach con i tedeschi (di cui appoggiò, e con qualche critica, le ragioni della guerra e la politica d’occupazione, ma con cui ebbe solo sporadici rapporti e nessun legame di interesse se non ideologico), quanto la messa in valore della differenza morale tra l’essere fascista e l’essere antifascista. Quel giovane scrittore aveva potuto diventare fascista, si diceva, grazie alla liberalità degli ordinamenti della Repubblica democratica. Ciò che – affermava Reboul - Brasillach non intendeva concedere ai suoi avversari politici, cioè la libertà, gli era stato invece concesso dalla democrazia: «E così, Brasillach – inveiva il magistrato ex-vichysta – in questo paese dalle tradizioni di libertà intellettuale…ecco sopraggiungere voi…ad abbracciare l’ideologia obbligatoria sul modello tedesco…credo sia questo il crimine più grave per un intellettuale…voi siete quello che siete solo perché a diciott’anni non avete incontrato un aguzzino che coartasse le vostre libere opinioni…». In effetti, non lo incontrò. Ne incontrò invece uno a trentacinque, che lo fece mettere al muro…ma questo è uno di quei dettagli che la logica antifascista volentieri trascura. Il sottobosco psicologico di questo genere di democraticismo è alle volte così intricato da non far filtrare quel po’ di luce necessaria a distinguere la realtà dalla propaganda delle buone intenzioni. Tra le pieghe di questi lontani avvenimenti, noi ritroviamo, sia pure su altra scala, l’origine della malattia morale “buonista” oggi in gran voga. Si tratta di un particolare tipo di umanesimo, specialista nell’alzare la forca del vincitore dando alla vendetta il nome di giustizia, nei modi che a Norimberga divennero impresentabili…Questo atteggiarsi a giusti tra le nazioni, il cui crimine è sempre migliore di quello degli altri, se guardato da vicino, fa acqua da tutte le parti. E ci sono storici che, privi di complessi, ogni tanto lo segnalano. Ad esempio, Alice Kaplan, che pure ne ha da vendere contro il Fascismo, nel suo Processo e morte di un fascista. Il caso di Robert Brasillach (Il Mulino), ha avuto modo di dirlo con chiarezza: «L’esecuzione capitale fu tanto più sorprendente in quanto Brasillach era stato condannato per un crimine ideologico…». E lascia capire che i giudici non avevano i necessari titoli morali per giudicare, riportando che «Isorni fece notare che sia il pubblico ministero sia il presidente della corte avevano lavorato, appena pochi mesi prima, per Vichy…», tanto più che «per Isorni Brasillach era un poeta, non un propagandista». E tutto questo mentre illustri intellettuali come gli storici Carcopino o Gaxotte, come il Nobel per la medicina Carrel, come il romanziere Giono, come il drammaturgo Cocteau, come l’editore Gallimard, come l’industriale Renault, come il funzionario Mitterand…collaborarono come e più di Brasillach con i tedeschi. E proprio negli anni in cui un Sartre poteva rappresentare liberamente le sue piéces teatrali nella Parigi occupata, oppure starsene seduto ai caffè dei boulevards, perfettamente indisturbato…
Singolare spietatezza, quella che ha dimostrato l’antifascismo europeo nei confronti degli intellettuali collaborazionisti che non si nascosero e non abiurarono. E in Francia, poi…Reboul accusò Brasillach di aver partecipato persino a un convegno di scrittori fascisti europei, e per di più recandosi nel 1941 in Germania…suprema prova di tradimento…accusa al vetriolo…in Italia il coup de théatre non gli sarebbe riuscito altrettanto bene: avrebbe dovuto prendersela, tra l’altro, con quanti parteciparono al congresso culturale indetto a Weimar nel 1942, cioè il fior fiore – da Vittorini a Pintor – di quelli che diventeranno antifascisti a cose fatte. Brasillach, a differenza di molti collabo che se la cavarono, si presentò spontaneamente alle autorità e non rinnegò mai nulla. Anzi, alla lettura della sentenza di morte, mentre qualcuno dal pubblico gridò «È una vergogna!», lui replicò «È un onore…!». Si direbbe roba d’altri tempi, uno stoico, un alieno nell’èra e nella società dei grandi camaleonti e del riciclaggio di massa. Come ha scritto la Kaplan facendo un paradosso, Brasillach era «uno scrittore che credeva che il nazismo fosse poesia». Un’ingenuità imperdonabile? Il mondo liberale non perdona gli ingenui. Eppure, se qualcuno ci chiedesse chi preferiamo tra l’ingenuo e il suo contrario, cioè il furbo, non avremmo esitazioni nella scelta.
Luca Leonello Rimbotti
sabato 15 marzo 2008
BOICOTTIAMO LE OLIMPIADI IN CINA
-DA CAGLIARI PARTE LA PETIZIONE ON LINE-
Una petizione on line per chiedere ai candidati premier italiani l'impegno, terminate le elezioni, di boicottare le olimpiadi previste nei prossimi mesi a Pechino. Questa è l'iniziativa lanciata dai promotori dei sito http://www.tibetlibero.org/ in uno dei momenti più cruenti momenti della già tormentata vicenda tibetana.
Il link alla petizione è http://www.firmiamo.it/noalleolimpiadiapechino2008 e la speranza dei promotori, due ragazzi cagliaritani, salvatore deidda e dario Dessì, è quella che il nostro Paese decida di usare fermezza assoluta verso la Cina, che da troppo tempo agisce impunemente ai danni del popolo tibetano. L'occidente e la comunità internazionale non possono chiudere gli occhi ancora una volta e lasciare che quella che è considerata una grande potenza, e per questo ritenuta intoccabile, proceda con il progetto di cancellare qualsiasi tipo di riferimento, culturale e sociale, tibetano.
giovedì 13 marzo 2008
PROF. FUMA CANNA IN CLASSE, DONZELLI (AN) "CONSEGUENZA DELLA SINISTRA AL GOVERNO. COSA NE PENSA VELTRONI?"
Governo. Cosa ne pensa Veltroni?"
"Il video del prof. che fuma una canna in classe e presente su you tube
dallo scorso 8 marzo, è una vergogna per la scuola italiana, è la negazione
della responsbailità educativa.- commenta Giovanni Donzelli, consigliere
comunale di AN a Firenze e presidente nazionale di Azione Universitaria- Ma
il pessimo esempio dato da questo professore, non è il primo. Esponenti
della maggioranza di Governo si sono vantati di aver seminato Marijuana
dentro Montecitorio; Rifondazione Comunista, partito attualmente di Governo,
nel 2006 distribuiva in campagna elettorale cartine con sopra il simbolo di
partito. - ricorda Donzelli- Non solo, uno dei primi atti fatti dal Governo
uscente è stato quello di raddoppiare le dosi consentite di cannabis. Credo
quindi che da parte di Renzi e Fioroni, che fino a ieri erano nella stessa
maggioranza di Caruso al Governo della Nazione, ci vorrebbe meno ipocrisia e
più ammissione di colpa. "
"La sinistra crede di potersi accattivare le simpatie dei giovani,
strizzando l'occhio alle droghe così dette leggere. Se le Istituzioni di
Governo sono le prime a far passare messaggi permissivi, è ovvio che come
conseguenza i Professori si possano sentire autorizzati a seguire le
indicazioni di Parlamentari e partiti di Governo. Ma Veltroni che ne pensa?
E' favorevole a depenallizare le canne? L'aspirante futuro primo ministro
pensa che il Prof. in questione sia un emancipato comunicatore del disagio
adolescenziale o un perfetto idiota?" Conclude Giovanni Donzelli
PER INFO: 3398620341